OLTRE LA VITA CON OMERO E VIRGILIO

La meditazione suIl' oltretomba, già avviata almeno due millenni prima di Cristo, giunge ad una svolta fondamentale con Omero e Virgilio. Non solo si afferma un principio di giustizia universale la cui autorità si informa anche al mondo dei morti, ma si sente il bisogno di collegare strettamente visibile ed invisibile, morte e vita, mistero e coscienza. L'ombra non è solo quella in cui la vita si dissolve, ma anche quella che, misteriosamente, prepara nuove forme nella vita stessa. Il presente testo intende esplorare le vicende di questa ininterrotta meditazione sull' "oltre" da Omero a Virgilio.
L' OLTRETOMBA IN OMERO
E'molto utile per comprendere la concezione, tragica e pessimista, che i poeti antichi avevano della vita, considerare che cosa essi pensassero della morte in sé e dei defunti. Non meno utile è analizzare con attenzione la progressiva evoluzione dei riti funebri, dall'"Iliade" all'"0dissea" e dall'"0dissea" all'"Eneide", perché essa rivela un parallelo mutamento del concetto della vita, e quindi della morale, della società e del diritto, oltre che della cultura in genere. Ai primi versi dell'"Iliade" Omero cita, come effetto della rovinosa ira di Achille, il fatto che molti eroi perirono prematuramente senza avere il conforto della sepoltura: i loro cadaveri vennero abbandonati e furono dilaniati da cani e da uccelli (II., 1,1-5). Ciò è citato come una realtà dolorosa e vergognosa; è dunque implicito che per ogni caduto debba esser compiuto un rito funebre particolare e che la sua salma non debba essere abbandonata. L'odio per il nemico vinto può spingersi a un punto tale da indurre il vincitore a disonorarne il cadavere. Così "Ettore, dopo ch'ebbe spogliato Patroclo delle nobili armi, lo tirava, per tagliar dalle spalle col bronzo acuto la testa e trascinare il cadavere e abbandonarlo alle cagne troiane"(XVII, 125-127). Ma Omero, che disapprova tanta barbarie, di cui però annota gli eccessi, non gli concede di realizzare il crudele proposito. Sul punto di essere abbattuto da Achille, Ettore chiede: "Ti prego per la tua vita, per i ginocchi, per i tuoi genitori, non lasciare che presso le navi mi sbranino i cani..."(XXII, 338-9). ma il Pelide, spietato, gli risponde: "nessuno potrà dal tuo corpo tener lontane le cagne..."(ivi, 348). e che rifiuterà ogni riscatto, anche ricchissimo. Ma anche qui Omero, pur descrivendo il belluino furore di Achille che infierirà sul cadavere, farà sì che il cadavere stesso resti miracolosamente illeso e intatto e che venga poi reso ai Troiani per le estreme onoranze. Il rito regolare, seguito così dagli Achei come dai Troiani, vuole che il cadàvere venga arso su un rogo, che le ossa vengano poi date agli amici del defunto che le conserveranno con cura. Prima che abbiano luogo i riti funebri per Patroclo, l'ombra (o il fantasma) del Carissimo amico morto compare di notte ad Achille. "Ed ecco a lui venne l'anima del misero Patroclo, gli somigliava in tutto,grandezza, occhi belli, voce, e vesti uguali vestiva sul corpo; gli stette sopra la testa e gli parlò parola..."(XXIII, 65-68).
L'APPARIZIONE DEL MORTO: Questa ombra ha affetti, volontà, memoria, conoscenza dell'immediato futuro: Patroclo chiede che come le loro vite, fin dall'adolescenza, furono unite, così siano unite, dopo la morte, anche le loro ossa. Qui sembra che Omero richiami credenze già antiche al tempo suo, di età micenea, quando si pensava che i morti si aggirassero inquieti tra i vivi e che, per dar loro pace, occorresse costruire loro una tomba in pietra; essi erano oggetto di culto e ricevevano sacrifici propiziatori. Al tempo di Omero si pensava invece che, compiuto il rito, cessasse ogni contatto tra vivi e morti. Questa scena costituisce una sorta di conciliazione tra antiche e nuove credenze; essa rappresenta un'assoluta eccezione, prodotta forse, in Omero, dalla simpatia, ugualmente eccezionale, che il poeta manifesta per questo personaggio.
IL RITO: I dettagli del rito funebre sono descritti minutamente nella scena delle onoranze a Patroclo: si costruisce un alto rogo; in segno di dolore Achille si taglia i biondi capelli che pone sul corpo dell'amico; si sacrificano buoi, cavalli, cani e dodici principi troiani i cui cadaveri vengono posti sul rogo attorno a quello di Patroclo, che sta al centro; si appicca il fuoco. Citando il sacrificio umano, Omero lo disapprova chiaramente: "...dodici nobili figli dei Teucri magnanimi, / straziati col bronzo: cose atroci pensava" (XXIII, 175-6). Quando la legna è bruciata, si spengono le braci con vino. Le ossa di Patroclo, cosparse di grasso (per favorirne la conservazione), vengono poste in un'urna d'oro, avvolta poi in "morbido lino" e portata nella tenda di Achille. Nel luogo dove arde la pira si eleva un tumulo con terra e pietre. Esso dunque non è la tomba come per noi, ma il luogo che ricorda sia l'avvenuta distruzione del corpo attraverso il fuoco sia il rito compiuto. Sotto il tumulo, non c'è nulla del morto. Notizie leggermente diverse Omero da per i funerali di Ettore, nell'ultimo libro del poema. Anche qui c'è il rogo funebre e si usa il vino per spegnerne le ultime fiamme. Ma nessun sacrificio, ne d'animali, ne d'uomini. L'urna viene coperta di "pepli purpurei" e interrata; al di sopra verrà costruito il tumulo.
CHE SORTE NELL'ALDILA'?: Che sorte attenda il morto dell'aldilà, Omero non dice direttamente. Si immagma però che essa debba essere assai triste. Il fuoco segna il distacco definitivo tra morti e vivi; spente le fiamme, come dice Patroclo, nessun morto potrà più tornare sulla terra. "...mai più verrò fuori dall'ade quando del fuoco m'avrete fatto partecipe"(XXIII, 75-76). Che debba essere il fuoco l'elemento distruttore-purificatore del corpo, non sorprende. Nella religione indoeuropea il fuoco compariva infatti come arma potente (il fulmine) impugnata dal dio del cielo, delle nubi e della pioggia. Ma che l'elemento terra abbia lo stesso una qualche parte del rito (è la terra, infatti, a comporre il tumulo e a ricevere le ossa di Ettore, raccolte nell'urna) testimonia la memoria della più antica religione mediterranea nella quale la massima divinità era la Grande Madre Terra. L'aldilà deve essere un luogo buio, dato che l'aggettivazione che accompagna le divinità della morte (la Moira, la Chera) indica regolarmente il color nero, che è, già in Omero, quello del lutto, come dimostrano il velo che Teti si pone addosso per significare agli dèi il proprio dolore per l'imminente morte del figlio amatissimo (XXIV, 93-94).
IL CONTRASTO VITA-MORTE: È insomma già presente in Omero la divisione netta, l'opposizione inconciliabile tra mondo superiore e mondo infero, Vita e Morte. Positivi sono la luce, il cielo, il sole; negativi, il sottosuolo, il buio, la notte.Ma il negativo è veduto solo come assenza del positivo (la notte è la mancanza della luce solare) e non ancora come la fase d'un processo in cui anche il negativo sia necessario (ad esempio, la notte come fase preparatoria d'un giorno nuovo) e dunque avente già in sé qualche intrinseco valore proprio (il riposo, la quiete, il ristoro dalle fatiche del giorno). L'occhio del poeta guarda solo alla vita e a ciò che le da valore; poiché essa è brevissima, e segnata da un destino tanto misterioso quanto inflessibile, il suo valore sta nella forza, nella conquista, nella generale considerazione; essa deve, in un certo senso, essere piena di luce per compensare l'ombra che la assedia da ogni parte e che alla fine prevarrà. Ma poiché il negativo, anche quando non viene citato, continua ad essere presente come minaccia sempre incombente, anche i valori della vita ricevono un'accentuazione disperatamente drammatica e l'aggressività dell'io distruttore (se l'uomo chiede sempre più spazio per sé, più gloria, più onore, deve necessariamente toglierli agli altri) è, a ben guardare, una tensione auto-distruttiva. Nessun personaggio più di Achille è la prova dell'urto terribile di tali forze contrapposte; la certezza della morte vicina e inevitabile (ciò che a lui, figlio d'una dea, deve parere un affronto bruciante) lo spinge non già a chiedere, bensì a pretendere più onore per sé. Ma L'uomo, così, non solo non può opporsi al destino, ma lo asseconda con la propria azione, anche quando si affanna a contrastarlo.
L'ALDILA' NELL'ODISSEA:L'"0dissea" offre in materia una documentazione più abbondante in dipendenza dal fatto che il protagonista deve scendere agl'Inferi e interrogare i trapassati. Ciò da modo a Omero di fornirci notizie più numerose e precise circa un possibile contatto tra vivi e morti, anche dopo i riti funebri , circa la sorte dei defunti, i riti da compiere perché essi parlino al vivo, come pure della conoscenza che gli scomparsi hanno del presente e del futuro. È opinione di molti studiosi che Omero utilizzi qui una letteratura orientale, già molto antica al tempo suo, relativa alla discesa agl'Inferi o al ritomo sulla terra di dèi ed eroi. È Circe, la maga, a indirizzare Ulisse agl' Inferi (X, 488 e segg.): egli deve scendervi per interrogare l'anima di Tiresia, l'indovino tebano. Si parla qui di una coppia di dèi, signori dell'oltretomba, Ade e Persefone, e si dice che Tiresia è il solo a cui sia stata conservata "mente saggia" anche da morto; gli altri, invece "come ombre vane svolazzano". I defunti, quindi, di regola, non sanno nulla. Circe da poi all'eroe altre precise indicazioni, circa l'individuazione dell'ingresso agl'Inferi (un bosco sacro a Persefone, con pioppi e salici i cui frutti non giungono mai a maturazione) e circa il rito da compiere e il luogo esatto dove celebrarlo: presso la roccia dove confluiscono insieme, nel fiume Acheronte, il Piriflegetonte e il Cocito. Scavata qui un'ampia fossa, Ulisse dovrà compiere la cerimonia dei morti, con miele, latte, vino dolce e acqua, e spargere la terra di farina bianca. Sacrificherà quindi, per Tiresia, un montone nero; poi un ariete e una pecora, ugualmente di pelo nero. Uccisi gli animali, tutte le anime dei morti si avvicineranno per berne il sangue, ma Ulisse, con la spada in pugno, dovrà tenerle tutte lontane finché non avrà bevuto Tiresia. Tutto si compie come Circe aveva previsto e consigliato. Ma il testo che segue presenta contraddizioni (soprattutto circa la conoscenza che i defunti hanno o non hanno del presente e del futuro), che non si sa se attribuire a lapsus di Omero o alle sue fonti discordanti e non armonizzate . Da Achille, eroe straordinario, figlio d'una dea e d'un rè mortale, prodigio di valore guerriero, onorato in vita da uomini e dèi, udiamo i versi più amari dell'epica classica sulla condizione dei morti e nei quali non si può non cogliere il forte pessimismo dello stesso Omero.
COSA NE PENSA IN SINTESI OMERO: In un giudizio complessivo è da dirè che per l'autore dell'"Odissea": 1. c'è sulla terra un luogo di accesso agl'Inferi; 2. è concesso ad alcuni uomini straordinari, come Ulisse, compiuti particolari riti, di interrogare le anime dei morti e di sapere da loro la verità; 3. ai defunti si sacrificano animali dal pelame nero; 4. i morti acquistano facoltà di parlare e dire il vero solo dopo aver bevuto il sangue delle bestie sacrificate. Il sangue infatti resta sempre l'elemento artefice della vita. 5. essi hanno memoria del passato, una certa conoscenza del futuro, ma sembrano ignorare il presente o averne una visione difettosa; 6. la loro sede è il sottosuolo; 7. nessun conforto essi traggono dalla loro condizione, che è ugualmente triste per tutti, giusti e ingiusti.
Non è mutata la visione pessimistica dell'"Iliade". Ma è più forte, nella "Odissea", il desiderio, da parte dei vivi, di essere assistiti, protetti, guidati dai loro morti; il contatto tra i due mondi è raro e difficilissimo, ma, quando lo si realizza, ognuno dei due ha qualche influenza sull'altro.Ma il valore della giustizia, cui spesso il poema fa riferimento e che è rispettato ora dagli stessi , con il trionfo finale dei buoni e la punizione dei malvagi, non si estende anche all'aldilà: tutti sono accomunati dalla stessa tristezza che se in alcuni ha spento le antiche passioni è però anche il segno della privazione del valore che resta ancora primario, cioè quello della vita. La giustizia, che non si compie dopo la morte, quando la vita è spenta, negl'Inferi, deve perciò compiersi tutta sulla terra: essere cioè chiara, assoluta, perfetta, esemplare. Se paragonata a quella del l'"Iliade", questa è certamente una morale più alta, ma essa resta pur sempre legata al concreto, al visibile, al verificabile, al breve arco di una esistenza umana. Non affronta, Omero, il tremendo problema che sconvolgerà l'anima di Virgilio, cioè il possibile trionfo dei malvagi, con la conseguente rovina dei buoni, o la crudele beffa degli dèi che possono favorire il male e la colpa e calpestare il bene e la virtù.
LA NUOVA CONCEZIONE DELL'ALDILA' DI VIRGILIO
Vari secoli separano Omero da Virgilio: si tratta di un ampio arco di tempo durante il quale non solo si producono eventi politici di enorme importanza, come il sorgere e l'affermarsi della potenza di Roma, ma si verifica anche un fenomeno culturale sconosciuto al mondo antico e di gran peso per l'indagine che stiamo conducendo: la diffusione della cultura greca per tutto il Mediterraneo, ciò che venne favorito dall'unità politica attuata da Roma. In particolare, la filosofia greca, che in questi secoli affronta tutti i problemi di metafìsica, logica e morale, accessibili alla ragione umana, influenza sempre di più la cultura romana, non solo nella letteratura, nella poesia, nel teatro, ma anche in un campo che allo spirito romano, segnato da concretezza e praticità di organizzazione e amministrazione, stava particolarmente a cuore, e che è quello del pensiero politico, dell'edificazione dello Stato perfetto, sottratto agli egoismi individuali e garante di un'ordinata vita collettiva. Questo problema si allaccia naturalmente ad altri di diversa natura: etica (che cos'è e come si pratica l1a virtù?), religiosa (esistono gli dèi? sono giusti? perché la forza del Male sembra invincibile?), pedagogica (a quali valori debbono essere educate le nuove generazioni? e perché?), estetica (qual è il fine dell'arte? deve, essa, solo produrre un piacere spirituale o ha anche una missione educativa?). Le opinioni espresse dalle varie scuole fìlosofìche sono naturalmente diverse, e le polemiche accese; il confluire poi, nel panorama filosofico, di antiche e nuove religioni orientali, legate alla teoria della salvezza individuale mediante purificazione ed espiazione, orienta tutto il quadro verso l'indagine morale: all'uomo non importa più tanto sapere, cioè, come, da chi e perché sia stato creato il mondo o come si giunga alla vera conoscenza, ma quale sia il fine della sua vita, se ci sia una liberazione dal male e dalla colpa, che sorte lo attenda dopo la morte. Questa diffusissima ansia di rigenerazione morale o, se si preferisce, di una rinascita interiore è la domanda che si pongono strati sempre più vasti di popolazione, oppressi da decenni e decenni di lotte, violenze, guerre.
IL VIAGGIO NELL'OLTRETOMBA:UN TEMA CENTRALE: Virgilio rispecchia ed assorbe tutta la speculazione filosofica anteriore e contemporanea, ma la conduce a unità facendola dipendere tutta dal fatto storico alla cui celebrazione dedica le proprie forze: la potenza di Roma, voluta dal Fato. Ciò comporta, tra l'altro, non solo una nuova concezione dell'aldilà, con la distinzione di buoni e malvagi, ricompensa e punizione, ma la sua centralità nel piano della storia, e quindi del suo poema. L'oltretomba era in Omero un tema, diciamo così, periferico.Ulisse deve scendere agl'Inferi perché Tiresia, l'indovino tebano, gli dica quale futuro lo aspetta. Ma la profezia di Tiresia non si rivela molto funzionale al resto della narrazione: essa c'è, sì, ma non pone in essere nessuna azione; ne il protagonista muta carattere, azione, sentimenti dopo averlo incontrato. La prova ne è che il poema si gusta e si intende benissimo anche se si trascura quell'episodio che non ha certo la medesima rilevanza di quello delle Sirene o del cane Argo. In Virgilio è tutto l'opposto. La collocazione della discesa agl'Inferi al canto sesto, cioè al mezzo esatto dell'opera risponde a una precisa intenzione dell'autore: la conoscenza del passato, del futuro, della vita e della morte, del dramma della storia e del suo fine misterioso, divide nettamente l'azione in un "prima" e in un "poi". E muta l'animo dell'eroe; di qua un uomo esitante, disorientato; di là un Enea che, reso più certo del proprio futuro, si fa per questo più sicuro e deciso. Ne è da dimenticare che il personaggio-chiave in questo luogo fondamentale è quello del padre Anchise che lo ha generato alla vita umana e che ora lo genera, come profeta e nume tutelare, alla vita della storia. Le cerimonie funebri, i riti di sepoltura e di evocazione dei morti restano, a parte qualche non rilevante eccezione, quelli di Omero. Ma la vita umana è giudicata secondo il metro d'una morale finalmente sicura che virtù e vizio vengano decisamente distinti.I
IL PROBLEMA DEL MALE: E anche il problema del Male della storia che, non toccato da Omero, ossessiona Virgilio, trova, nell'aldilà, una sorta di superamento. Il disegno del Fato, infatti, supera le alterne vicende delle fortune umane, i trionfi e i meriti, come le rovine e le colpe dei singoli uomini, ed anche degli eroi.La giustizia umana, legata a una conoscenza relativa, non può affrontare questo mistero che, assoluto, affonda le sue radici nel più remoto leggendario passato e si proietta verso il più lontano futuro. Il Male, forse, non può essere cancellato del tutto, ma può essere contenuto, arginato, trasformato: con le peripezie dolorose di Enea, le guerre laziali, la gloria dei sette rè e della futura storia di Roma fino a Ottaviano, cioè fino all'età contemporanea al poeta, il Fato tende a realizzare sulla terra un impero che renda ordinata e civile la società umana e che possa trionfare su ogni tendenza dissolutrice, con la forza della legge e della spada. Anche se una tale convinzione reca tracce di un profondo pessimismo (giacché sembra che sia il Male a dettar le regole del gioco e ad imporre al Bene di usare le sue stesse armi e a costringerlo così alla dipendenza), si deve riconoscere che solo qui, per la prima volta nel panorama della cultura occidentale, si tenta di interpretare la Storia alla luce di valori che superino la Storia stessa e in cui l'onore soggettivo non stia più nella considerazione che gli altri tributano all'eroe per le sue imprese guerresche, bensì nel servizio che egli rende, con l'azione e l'esempio, a una sorta di volontà superiore che lo sovrasta e che gli impone di essere, volta a volta, paziente, forte, deciso, misericordioso; ora esule affranto, ora potente re; ora mendico miserabile, ora giudice autorevole. La libertà non sta più nell'arbitrio personale, e neanche nella legge del gruppo sociale, bensì nell'accogliere la necessità.
LA LEZIONE DI VIRGILIO: Immortalità dell'anima; premio assegnato ai giusti e castighi imposti ai malvagi; una Provvidenza che governa le vicende umane guidandole misteriosamente, pur attraverso la sofferenza, il male, la violenza, il sangue e la morte, verso un fine di Bene; necessità per l'uomo di accettare tale Provvidenza prima di averne compreso i disegni e anche, con profonda umiltà, senza averli compresi o sperare di poterli comprendere mai: questi i valori nuovi che Virgilio addita. Nella concezione della morte e della vita il mondo antico non era mai salito a una tale altezza, ne aveva mai compiuto un tale sforzo per giungere a una sistemazione unitaria, non elusiva e non contraddittoria. Era il presagio, questo, della filosofia cristiana che non avrebbe ripudiato quella precedente, ma, trasformandone lo spirito, l'avrebbe esaltata e coronata. Non a caso Dante, avrebbe creduto alla sacralità di Roma e della sua missione, oltre che per esser questa la città di S. Pietro, il capo degli Apostoli e quindi del papato, perché essa era stata la sede dell'impero romano la cui gloria aveva preparato ed annunciato quella della Chiesa. Anche per questo Dante si sarebbe inchinato a Virgilio, punto d'arrivo di tutta la cultura antica, e lo avrebbe chiamato, con parole di significato più profondo delle corrispondenti attuali, "maestro" e"autore".

 

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