In questo numero dedicato alle donne vi sono passi che riflettono la condizione femminile dal punto di vista di alcune scrittrici.

Dacia Maraini

Insulti

E mescolare il sugo e tritare l’aglio
e aggiungere acqua all’acqua
e buttare il sale
e versare la farina
e scodellare l’occhio bullo dell’uovo
nel blu gelato del piatto
e ci insultiamo nervosamente
e il muscolo del braccio muore
e il brodo bolle scintillante di grasso
e la porta del frigorifero è aperta
e quei cerchi di debolezza
che mi bucano le palpebre
e riprendo a tritare carote
e mescolare il riso
e infarinare il pesce
e indorare le patate
e pulire il coltello
e tagliare il pane
con mani molli di fata
e ci insultiamo cocciuti malamente.

Virginia Woolf

Per secoli le donne hanno avuto la funzione di specchi dal potere magico e delizioso di riflettere la figura dell’uomo ingrandita fino a due volte le sue dimensioni normali. Senza quel potere la terra forse sarebbe tutta giungle e paludi. Le glorie di tutte le nostre guerre sarebbero sconosciute. Staremmo ancora a graffiare la sagoma di un cervo sui resti di ossa di montone e a barattare selci con pelli di pecora o con qualsiasi semplice ornamento attraesse il nostro gusto non sofisticato. Non sarebbero mai esistiti Superuomini né figli del destino. Lo Zar o il Kaiser non avrebbero mai portato corone sul capo né le avrebbero perdute. 
Quale che sia l’uso che se ne fa nella società civili, gli specchi sono indispensabili a ogni azione violenta ed eroica. È questa la ragione per cui sia Napoleone che Mussolini insistono con tanta enfasi sulla inferiorità delle donne, perché se queste non fossero inferiori, verrebbe meno la loro capacità di ingrandire.
Ciò serve a spiegare in parte la necessità che tanto spesso gli uomini hanno delle donne. E serve anche a spiegare perché gli uomini diventano così inquieti quando vengono criticati da una donna; e come sia impossibile per una donna dire loro questo libro è brutto, questo dipinto è debole, o qualunque altra cosa, senza procurargli molto più dolore suscitare molta più rabbia di quanta non ne susciterebbe un uomo che facesse la stessa critica.
Perché se lei comincia a dire la verità, la figura nello specchio si rimpicciolisce...

Da UNA STANZA TUTTA PER SÉ

Isabel Allende

Questo monologo della memoria è pensato dalla madre vicino al capezzale della figlia gravemente ammalata.

... Nelle lunghe ore di silenzio mi si affollano i ricordi, tutto mi è accaduto nello stesso istante, come se la mia vita intera fosse una sola immagine inintelligibile. La bambina e la giovane che fui, la donna che sono, la vecchia che sarò, tutte le tappe sono acqua della medesima impetuosa corrente. La mia memoria è come un mural messicano in cui tutto accade simultaneamente: le navi dei conquistatori in un angolo mentre l’Inquisizione tortura gli indio in un altro, i liberatori che galoppano con le bandiere insanguinate e il Serpente Piumato di fronte a un Cristo sofferente fra le ciminiere fumiganti dell’era industriale. Così è la mia vita, un affresco molteplice e variabile che solo io posso decifrare e che mi appartiene come un segreto. La mente seleziona, esagera, tradisce, gli avvenimenti si sfumano, le persone si dimenticano e alla fine rimane solo il percorso dell’anima, quei rari momenti di rivelazione dello spirito. Non mi interessa ciò che mi è accaduto, ma le cicatrici che mi segnano e mi distinguono. Il mio passato ha poco senso, non vedo ordine, chiarezza, propositi né cammini, solo un viaggio alla cieca, guidata dall’istinto e da eventi incontrollabili che deviarono il corso del mio destino. Non ci fu calcolo, solo buoni propositi e il vago sospetto che esista un disegno superiore che determina i miei passi. Finora non ho condivisoli mio passato, è il mio ultimo giardino, su cui non si è affacciato neppure l’amante più intruso. Prendilo, Paula, forse ti servirà a qualcosa, perché credo che il tuo non esista più, si è perso in questo lungo sonno e non si può vivere senza ricordi.

Da PAULA

Oriana Fallaci

Vorrei che tu fossi una donna. Vorrei che tu provassi un giorno ciò che provo io: non sono affatto d’accordo con la mia mamma la quale pensa che nascere donna sia una disgrazia. La mia mamma, quando è molto infelice, sospira: “Ah, se fossi nata uomo!”. Lo so: il nostro è un mondo fabbricato dagli uomini per gli uomini, la loro dittatura è così antica che si estende persino al linguaggio. Si dice uomo per dire uomo e donna, si dice bambino per dire bambino e bambina, si dice figlio per dire figlio e figlia, si dice omicidio per indicar l’assassinio di un uomo e di una donna. Nelle leggende che i maschi hanno inventato per spiegare la vita, la prima creatura non è una donna: è un uomo chiamato Adamo. Eva arriva dopo, per divertirlo e combinare guai. Nei dipinti che adornano le loro Chiese, Dio è un vecchio con la barba bianca mai una vecchia coi capelli bianchi. E tutti i loro eroi sono maschi: da quel Prometeo che scoprì il fuoco a quell’Icaro che tentò di volare, su fino a quel Gesù che dichiarano figlio del Padre e dello Spirito santo: quasi che la donna da cui fu partorito fosse un’incubatrice o una balia. Eppure, o proprio per questo, essere donna è così affascinante. È un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai. Avrai tante cose da intraprendere se nascerai donna. Per incominciare, avrai da batterti per sostenere che se Dio esistesse potrebbe anche essere una vecchia coi capelli bianchi o una bella ragazza. Poi avrai da batterti per spiegare che il peccato non nacque il giorno che Eva colse la mela: quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disobbedienza. Infine avrai da batterti per dimostrare che dentro al tuo corpo liscio e rotondo c’è un’intelligenza che chiede di essere ascoltata. Essere mamma non è un mestiere. Non è neanche un dovere. È solo un diritto fra tanti diritti. Faticherai tanto a ripeterlo. E spesso, quasi sempre, perderai. Ma non dovrai scoraggiarti. Battersi è molto più bello che vincere, viaggiare è molto più divertente che arrivare: quando sei arrivato o hai vinto, avverti un gran vuoto. Si, spero che tu sia una donna: non badare se ti chiamo bambino. E spero che tu non dica mai ciò che dice mia madre. Io non l’ho mai detto.
Ma se nascerai uomo io sarò contenta lo stesso...

Da LETTERA A UN BAMBINO MAI NATO

Saffo

Poetessa greca vissuta nel V secolo A. C.

 

A me pare uguale agli dei
chi a te vicino così dolce
suono ascolta mentre tu parli

e ridi amorosamente. Subito a me
il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda, e la voce

si perde sulla lingua inerte.
Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,
e ho buio negli occhi e il rombo
del sangue all’orecchie.

E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.

Traduzione di Salvatore Quasimodo

Eloisa

Eloisa e il filosofo Abelardo (1079-1142) hanno vissuto una storia d’amore dall’epilogo tragico. Dal loro amore clandestino era nato un figlio, Astrolabio, ma neanche il matrimonio riparatore salvò Abelardo dalla vendetta dei parenti di Eloisa; lo zio Fulberto, assoldato un sicario, lo fece evirare. Eloisa divenne suora nel convento di Argenteuil, Abelardo entrò come monaco nell’abbazia di Saint Denis. Dal convento Eloisa scrisse molte lettere che rivelano la figura a tutto tondo di una donna colta, intelligente, interiormente libera, che non rinnega il suo passato e vive nel ricordo bruciante di un amore che non riesce a dimenticare (e che non vuole dimenticare) .

... Quale dote dell’anima o del corpo non rendeva attraente la tua giovinezza? E ora tutte quelle che prima mi invidiavano, come non possono compiangermi, poiché sono stata privata di tanta gioia? E chi, uomo o donna, amico o nemico, non si sentirà intenerito da una giusta compassione per me? Tu sai che io ho fatto un gran male, ma sai anche che sono completamente innocente. Infatti la colpa non sta nelle conseguenze degli atti, ma nell’intenzione di chi li compie. La giustizia deve basarsi non sugli atti, ma sul motivo per cui si compiono.
Tu solo, che ne hai fatto l’esperienza, puoi giudicare quali sentimenti io ho sempre avuto verso di te... Ma dimmi, se sei capace, perché dopo la nostra entrata in convento, che hai deciso tu solo, tu mi hai talmente trascurato e ti sei talmente dimenticato i me da non volermi dare la gioia non dico di una tua visita, ma neppure di una tua lettera. Dimmelo, se sei capace, o te lo dirò io; e questa non è solo al mia convinzione, ma il sospetto di tutti: ti ha legato a me l’attrazione fisica, non il vero affetto; l’ardore dei sensi, non l’amore. Quando poi il desiderio si è spento, è svanito anche tutto quell’amore che dicevi di avere solo per avermi. Questa, mio carissimo, non è soltanto una mia supposizione, ma tutti la pensano così, non è un’opinione personale, ma la convinzione di tutti, non privata ma pubblica. Volesse il cielo che sembrasse così solo a me e che il tuo amor potesse trovare qualche giustificazione che potesse sollevare un po’ il mio dolore! Volesse il cielo che io potessi inventarmi qualcosa che servisse a tua discolpa e che nello stesso tempo servisse a calmare un pò la mia angoscia! Prendi in considerazione, ti prego, la mia richiesta, e vedrai che per te è poca cosa, per te molto facile....

Dalla Lettera II di Eloisa ad Abelardo

Maria Luisa Spaziani

Utilità della memoria

Altri guadagneranno ciò ch’io perdo
giorno su giorno lentissimamente.
Avranno i sensi freschi, morderanno
rabbrividendo nella polpa acerba,

trasaliranno di delizia all’alba
se mai li sfiori un dito d’aria d’oro.

Ma io ricordo tutto, grazie al Cielo,
la memoria l’ho giovane e forte.

Forse che Robinson Crusoe sudando
per trarre una scintilla da due legni
non ricorda benissimo lo stipo
che incontestato a Londra gli appartiene,
dove un tesoro di mille ghinee
sta in saeculorum saecula aspettando?

Susanna Tamaro

Tempo fa ho visto un suo programma e ne sono rimasta indignata. Su un punto potrei venirle incontro. L’inferno è attualmente vuoto perché tutti i diavoli, di ogni gerarchia, ormai scorrazzano sulla terra. Non sono ignorante né medievale. Lo dico soltanto perché ho diviso la mia vita con uno di loro. Ogni giorno guardo come si è ridotto l’uomo e capisco che non può aver fatto tutto da solo. Il diavolo non è puzzolente né primitivo. La sua dote primaria è l’abilità. Conosce come pochi l’animo umano e può insinuarsi in qualsiasi persona. Non dice lordure, porcherie, usa argomenti ragionevoli, raffinati. “Non credi di meritarti di più dalla vita, molto di più?” ha detto a me, tanti anni fa e io ho pensato che aveva ragione...

Mi piacerebbe avere la fede, appianare ogni cosa prima di andarmene, ma non ci riesco. Ho visto il male spandersi a piene mani. Ha invaso la mia vita e quelle di chi mi stava accanto come una macchia d’inchiostro. L’ingiustizia, la diseguaglianza, la violenza. Queste e non altre sono le leggi che dominano il mondo. Così dico: ci lasci almeno la gioia dell’inferno. Un inferno affollato e rumoroso come una spiaggia d’agosto. Non vedo l’ora di sprofondarvi dentro e soffrire per sempre. Perché, nella mia vita, ho provocato solo dolore ed è giusto che, nel dolore, io viva per sempre.

Un’ultima cosa. Lei ha detto anche che bisogna amare il diavolo perché il diavolo è solo con la sua disperazione.

Allora le dico questo, che delle lacrime del diavolo possiamo fregarcene come ce ne freghiamo di quelle del coccodrillo.

Distinti saluti.

Da RISPONDIMI

Patrizia Cavalli

Le note che disegnasti sul mio quaderno
la chiave di violino e la doppia chiave
e la tripla chiave. Sempre per te
un nuovo quaderno. Di quanti fogli
hai bisogno? Hai intarsiato la mia scrivania
scolpito il mio scaffale; ma ora non più 
arcieri in costume da guerra, soltanto
segni distratti. E dovrai raccogliere
con pazienza piccoli minuti perché tu possa
comporre un’ora.

Simone de Beauvoir

... Insegnando a mia sorella a leggere, a scrivere e a contare, conobbi già all’età di sei anni l’orgoglio dell’efficacia. Mi piaceva scarabocchiare sulla carta bianca frasi o disegni, ma così facendo non fabbricavo che cose inutili, invece, quando cambiavo l’ignoranza in sapere, quando imprimevo delle verità in uno spirito vergine, creavo qualcosa di reale. Non imitavo gli adulti, li eguagliavo, e il mio successo andava molto al di là della loro compiacenza, soddisfaceva in me aspirazioni più serie della vanità. Fino allora mi ero limitata a profittare delle cure di cui ero oggetto, adesso, a mia volta, ero io che servivo agli altri; sfuggivo in tal modo alla passività dell’infanzia, ed entravo nel grande circuito umano, dove, pensavo, ciascuno è utile a tutti gli altri. Da quando lavoravo seriamente il tempo non fuggiva più, si iscriveva in me: trasmettendo le mie cognizioni ad un’altra memoria, le conservavo doppiamente.

Da MEMORIE DI UNA RAGAZZA PERBENE