In questo numero, dedicato alla memoria dell’Olocausto, si ripercorrono le tappe della vicenda umana e letteraria dello scrittore Primo Levi, internato ad Auschwitz e testimone della barbarie nazista. |
Voi che vivete sicuri Nelle vostre tiepide case, Voi che trovate tornando a sera Il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo Che lavora nel fango Che non conosce pace Che lotta per mezzo pane Che muore per un si o per un no. Considerate se questa è una donna, Senza capelli e senza nome Senza più forza di ricordare Vuoti gli occhi e freddo il grembo Come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato: Vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore Stando in casa andando per via, Coricandovi alzandovi; Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, La malattia vi impedisca, I vostri nati torcano il viso da voi. Primo Levi |
Il viaggio non durò che una ventina di minuti. Poi
l’autocarro si è fermato, e si è vista una grande porta, e sopra una scritta vivamente illuminata (il suo ricordo ancora mi percuote nei sogni):
ARBEIT MACHT FREI, il lavoro rende liberi. Siamo scesi, ci hanno fatto entrare in una camera vasta e nuda, debolmente riscaldata. Che sete abbiamo! Il debole fruscio
dell’acqua nei radiatori ci rende feroci: sono quattro giorni che non beviamo. Eppure
c’è un rubinetto: sopra un cartello, che dice che è proibito bere perché
l’acqua è inquinata. Sciocchezze, a me pare ovvio che il cartello è una beffa,
“essi” sanno che noi moriamo di sete, e ci mettono in una camera e c’è un rubinetto, e
Wassertrinken verboten. Io bevo e incito i compagni a farlo; ma devo sputare,
l’acqua è tiepida e dolciastra, ha odore di palude. |
Primo Levi dall’incipit di “Se questo è un uomo” |
NARRATIVA |
Se questo è un uomo, 1947 |
La tregua, 1963 | |
Storie naturali, 1966 | |
Il sistema periodico, 1975 | |
La chiave a stella, 1978 | |
Se non ora, quando, 1982 | |
I sommersi e i salvati, 1986 |
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POESIA |
Ad ora incerta, 1984 |
SAGGISTICA |
L’altrui mestiere, 1985 |
Primo Levi, “La tregua” |
“La tregua” è il racconto del lungo viaggio di ritorno dai campi di sterminio attraverso l’Europa: una narrazione che contempera il senso di una libertà ritrovata con i segni lasciati dagli orrori sofferti. |
Giunsi a Torino il 19 ottobre, dopo trentacinque giorni di viaggio: la casa era in piedi, tutti i famigliari vivi, nessuno mi aspettava. Ero gonfio, barbuto e lacero, e stentai a farmi riconoscere. Ritrovai gli amici pieni di vita, il calore della mensa sicura, la concretezza del lavoro quotidiano, la gioia liberatrice del raccontare. Ritrovai un letto largo e pulito, che a sera (attimo di terrore) cedette morbido sotto il mio peso. |
Primo Levi, “La tregua” |
Primo Levi, “La chiave a stella” |
Ancora una volta si deve constatare, con lutto, che
l’offesa è insanabile: si protrae nel tempo, e le Erinni, a cui bisogna pur credere, non travagliano solo il tormentatore (se pure lo travagliano, aiutate o no dalla punizione umana), ma perpetuano
l’opera di questo negando la pace al tormentato. Non si leggono senza spavento le parole lasciate scritte da Jean Améry, il filosofo austriaco torturato dalla Gestapo, perché attivo nella resistenza belga, e poi deportato ad Auschwitz perché ebreo: |
Quest’ultimo libro di Primo Levi è uno scavo nella memoria, con la coscienza di essere un "salvato" nello sterminio,
un’eccezione. |