EDILIZIA OPERAIA
L'impianto della grande industria in un centro come Terni ebbe degli effetti sconvolgenti sulla struttura della città. Si consideri che la popolazione della città passò dai 14663 abitanti del 1861, ai 30641 del 1901. Il progressivo degrado del centro storico, favorito dagli alti indici di affollamento, la nascita e lo sviluppo di un'edilizia spontanea e minima nei borghi posti attorno al Nera, le condizioni igienico-sanitarie sempre più precarie caratterizzarono così la realtà ternana. In un contesto come questo, il problema dell'abitazione operaia si pose immediatamente in tutti i suoi aspetti alimentando un dibattito che vide impegnati giornalisti, igienisti, industriali e politici. L'Amministrazione comunale, però, non riuscì a varare nessun progetto a causa delle scarse risorse finanziarie a sua disposizione. Nel 1898, dei 31157 abitanti, ben 18550 erano agglomerati all'interno del centro storico, con una densità di oltre 28000 abitanti per kmq. Negli ultimi due decenni dell'Ottocento, alcune società industriali iniziarono a costruire abitazioni per i propri dipendenti, che però risultarono insufficienti. La politica aziendale della SAFFAT (Società degli Alti Forni, Fonderie, ed Acciaierie di Terni), almeno per quanto riguarda il periodo ottocentesco, non si impegnò nella costruzione di "villaggi" operai, quindi la crescita della città avvenne in modo caotico. Si osserva lo sviluppo di un 'edilizia operaia spontanea e di pessima qualità. La SAFFAT e la Società Valnerina si limitarono alla creazione di singole unità abitative, concepite senza l'ausilio di un particolare programma. Fra le abitazioni destinate agli operai e quelle destinate agli impiegati, si osserva comunque un forte scarto qualitativo: per quest'ultime la dislocazione dei vani seguì criteri più funzionali e razionali, erano dotate di tutti i servizi, e dal punto di vista estetico risultavano più curate delle abitazioni operaie.
 
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